Marisa Callisti

Carlo Melloni

 

Chi osservi con occhio non smaliziato i dipinti e i disegni di Marisa Calisti si pone puntualmente il dilemma se sia più forte in lei la predilezione per il paesaggio o per il ritratto. Dilemma banale perché è facile obiettare che un'artista padrona dei propri mezzi, intellettuali e strumentali (la Calisti è anche insegnante di discipline umanistiche e critico d'arte militante) può praticare con assoluta indifferenza sia l'uno che l'altro dei due generi.

Nel caso di questa pittrice, tuttavia, l'apparente ambivalenza delle tematiche accennate denuncia, a mio avviso, una divaricazione iconica e concettuale che va al di là dell'evidente perizia tecnica (nei suoi dipinti si colgono persino fremiti neodivisionisti) e si propone come una sorta di conflitto interiore, nel quale l'artista/attante va a collocarsi in una situazione di astanza, cioè in una presenza cristallina che traduce la figuralità ancipite nell'heideggeriano " da-sein". L'artista si apre al mondo, rivendica il suo diritto di esserci, sia nella forma diretta dell'autoritratto sia in quella convenzionale di un albero, di un cespuglio, di un bosco inaccessibile, in altre parole, si vuol dire che Marisa Calisti è l'albero, il cespuglio, il bosco.

Già diceva Isidoro di Siviglia che "Figura est artis, forma naturae", la figura è espressione esclusiva dell'arte, contrapposta alla forma, dominio della natura. Elementi formali ed espressivi suffragano la tesi di una totale identificazione dell'artista nel paesaggio che dipinge: basta osservare con attenzione la tormentata tessitura grafico-cromatica dei contrappunti chiaroscurali che definiscono i volumi fitomorfici per individuare, nella plastica evidenza del "transfert", l'immagine parcellizzata, vorrei dire impietosamente analizzata, di una condizione umana psichicamente personalizzata.

La Calisti ne è pienamente consapevole. (Significativo, a tale riguardo, il titolo junghiano Labirinti, che ella ha dato a un gruppo di sue opere recenti). E non a caso, stando a quanto dalla stessa artista confessato nel corso di una conversazione amichevole, ella sta meditando di innovare ab imis fundamentis i suoi attuali stilemi, seguendo un percorso che, superando gli aspetti fenomenologici della natura, transitando per l'informale, giunga alla dissoluzione della forma. è lo stesso percorso che, a suo tempo caratterizzò la radicale conversione di Piet Mondrian.

Proprio partendo dall'albero, "simbolo del legame tra reale (la terra) e spirituale (lo spazio verso cui tendono i rami)", l'artista olandese arriva progressivamente all'astrazione. Ma se Mondrian vi pervenne perché ossessionato dall'idea di una sintesi assoluta che facesse "tabula rasa" di ogni riferimento all'oggettualità naturalistica, Marisa Calisti se e quando deciderà di attuare il suo proposito, lo farà allorché giudicherà giunto il momento di interporre tra sé e il riguardante un diaframma che preservi non soltanto la sua "privacy", ma anche la sua "weltanschauung", la sua concezione del mondo, e costringe l'osservatore a leggere i dipinti e disegni nell'ottica del purovisibilismo, senza condizionamento alcuno, chiedendo alla propria intelligenza esegetica, le risposte ai suoi interrogativi.

1986 Autoritratto

matita su carta , cm. 25 X 35

1975 Autoritratto

matita su carta , cm. 25 X 35